L’editoriale di Giuseppe Nicosia, Sindaco di Vittoria
Data pubblicazione 18/02/2009
Il federalismo fiscale è una prospettiva ineludibile verso la quale il nostro sistema tributario è avviato per le sue riconosciute proprietà di trasparenza del momento impositivo, di efficienza della spesa e di equità del prelievo fiscale.
Proprietà che danno ai moderni sistemi tributari un maggior grado di accettazione dell’imposizione fiscale, atteso che comportano un maggior controllo delle scelte politiche di governo, ed un esercizio più responsabile degli stessi poteri di governo.
Negli ultimi anni si è assistito invece ad una serie di interventi che si discostano fortemente dai principi del federalismo fiscale. Interventi legislativi che bloccano le addizionali all’imposta sul reddito delle persone fisiche, sia comunali che regionali, che sospendono la facoltà conferita alle regioni di variare l’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive sino agli ultimi interventi inerenti l’esenzione sull’imposta comunale sugli immobili che di fatto vanno nella direzione opposto a quella auspicata ovvero depotenziano l’autonomia impositiva e regolamentare degli Enti locali, comportano un accentramento delle competenze statali e una forte penalizzazione degli Enti locali soprattutto nella gestione delle proprie entrate e nell’attuazione di quelle politiche ridistributive molto spesso fondamentali per garantire aiuti, anche da parte di un piccolo Comune, in favore di categorie sociali deboli come disoccupati, disabili o pensionati.
I ritardi nell’istituzione e nei lavori dell’Alta Commissione di Studio a cui è stato affidato il compito di fornire al Governo i principi generali relativi al “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, completano il quadro estremamente deficitario riguardante l’attuazione di un federalismo fiscale che dovrebbe avere tra gli altri obiettivi quello di garantire un sistema di perequazione delle risorse finanziarie in grado di eliminare i divari che attualmente caratterizzano i territori con minore capacità fiscale, onde evitare di compromettere per questi ultimi, i cosiddetti diritti di cittadinanza, che, comunque, devono essere assicurati in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale.
E’ questa, la perequazione, la problematica più importante del nuovo sistema tributario. Occorre mettere a punto meccanismi tecnici precisi in grado di garantire sull’intero territorio nazionale l’equità del trattamento di tutti i cittadini nei confronti di quei beni e servizi che soddisfano i cosiddetti diritti di cittadinanza (o LEA: livelli essenziali di assistenza).
Il soddisfacimento di tali diritti passa, ritengo, tramite l’assegnazione di una quota di risorse pro-capite a ciascun individuo, indipendentemente dalla regione di appartenenza, tale da garantire un livello di servizi comparabile. L’articolo 117, comma 2 Cost., lett. m), stabilisce che è compito dello Stato determinare “i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. La perequazione finanziaria rientra, dunque, nell’ambito delle competenze esclusive dello Stato. Le politiche perequative devono garantire l’eliminazione o comunque una grossa attenuazione delle disuguaglianze esistenti nella distribuzione del reddito nelle diverse regioni ed aiutare a colmare il divario tra nord e sud. Oggi invece le cosiddette “politiche di bilancio” del Governo statale stanno amplificando gli effetti della crisi economica e si allontanano dal quadro costituzionale delineato dalla riforma del titolo V della Costituzione.
I tagli indiscriminati ai trasferimenti statali e regionali a favore dei Comuni, il blocco delle aliquote e delle tariffe, i ritardi nell’erogazione dei trasferimenti dovuti e soprattutto in quelli compensativi hanno di fatto estremamente penalizzato gli Enti locali, ultimi baluardi per migliaia di cittadini in difficoltà prima del baratro. E a fronte di tutto ciò come dovrebbero reagire i Comuni se anche il ruolo dell’ICI è stato declassato quale cespite privilegiato delle entrate comunali.
Occorre capire che vi è una forte sperequazione nella distribuzione delle basi imponibili sul territorio nazionale che rende disomogenei i gettiti fiscali, e che i divieti di indebitamento, il patto di stabilità, il sistema fuorviante delle addizionali rischiano di compromettere il funzionamento di molti Enti locali. E a tutto ciò occorre aggiungere altri provvedimenti normativi che hanno e avranno un effetto estremamente negativo soprattutto in molte aree del sud non pronte, quali quelli sulla “devolution” e sul decentramento amministrativo.
E’ sicuramente auspicabile che il legislatore individui sistemi e risorse in grado di supportare gli Enti locali che non possono reggersi esclusivamente attraverso la compartecipazione ai tributi erariali e l’autonomia impositiva data dalla tassazione locale. Occorrono interventi in grado di meglio chiarire i ruoli di ciascun livello di governo in ordine alla misura del potere impositivo a ciascuno spettante e soprattutto misure che, oltre alle problematiche inerenti la tassazione fiscale, nell’attuale periodo di crisi riescano a dare vigore a tre capitoli fondamentali dell’economia nazionale ovvero l’occupazione, le tariffe dei servizi essenziali e la spesa pubblica.